
Gli scritti
René Paresce è tra i protagonisti della Scuola di Parigi, Antonio Maraini lo chiamerà a curare la sala dedicata all’École de Paris alla Biennale di Venezia del 1928.

René Paresce nel suo ufficio al “Daily Telegraph” come corrispondente politico della “Stampa”, Londra, 1931 circa
R.Paresce, La scuola di Parigi, in “La Biennale”, Venezia, 30 giugno 1928
“Un secolo glorioso, turbato ed illuminato dal fragore di vari eventi militari e politici e da clamorose battaglie di idee; nelle arti plastiche due rivoluzioni (quella di Cézanne e quella di Picasso) hanno attratto da vari decenni l’attenzione mondiale su Parigi, ove sembrano convergere tutte le inquietudini del tempo nostro. Incendi presto spenti, ma le cui faville si spargevano per il mondo.”
“Questa comune tendenza di un pubblico in gran parte infetto di cosmopolitismo crea una scuola. È la scuola di Parigi, scuola non perché riunisca opere di una stessa tendenza o difenda un particolare ideale pittorico, propugni una speciale dottrina, militi un campo a limiti definiti e definibili o sventoli un’unica bandiera, ma perché accomuna in sol punto geografico tormenti, inquietudini, presentimenti, ansie e bisogni nuovi. Si forma una scuola prodigiosa di fantasia nelle trovate, nei procedimenti il più grandioso emporio di formule che sia mai esistito. Si fa, si disfà, si tenta l’intentato, si creano possibilità dall’impossibile. Si inneggia al presente vertiginoso, si nega l’eternità. Di tanto in tanto questi presentimenti si cristallizzano in un’opera vera e propria”.
Spiriti inquieti, anime tormentate, disillusi o illuminati o blasés di ogni genere e natura, esteti decadenti tarati, parvenus desiderosi di sbarazzarsi alla svelta di ogni macchia di provincialismo si abbattevano su Parigi, chi per cercarvi un orientamento, una nuova fede, chi per accelerar il processo di quella decomposizione che, cinquant’anni or sono, aveva incominciato ad intaccar vari ambienti europei”.

Copertina del catalogo della XVI Esposizione Internazionale d’Arte, Biennale di Venezia 1928
“In un ambiente come quello parigino si realizzano scarse opere durature, poiché anziché opere si inventano formule. Ed ogni formula ha vita corta. Il pubblico assetato di novità ne chiede sempre altre e diverse, demolisce in un giorno gli idoli di ieri e ne crea di nuovi in una mattina. Un noto critico francese rendendo conto tempo fa di uno dei salons a tendenza avanzata scriveva a ragione esser esso non una esposizione di opere, ma un laboratorio. Non v’è un quadro, ma un migliaio di esperimenti, spesso brillanti, ma sempre destinati a rimaner esperimenti e nient’altro. È che questo pubblico non chiede più opere, esige punti, intenzioni, trovate, propositi”.
Nel 1933, in occasione della personale presso la Galleria del Milione, scriverà:
R. Paresce, in “Bollettino della Galleria del Milione”, n. 11, Milano, 1933
Lettera di Renato Paresce
Basta dunque dirvi che sono nato presso Ginevra da padre italiano e madre russa, che ho decenni sulle spalle bastanti a farle un tantino curve e forza sufficienti per sopportarne molti altri ancora. Scuole frequentate? Grazie a Dio, nessuna.
Non ho mai varcata la soglia d’una accademia, neanche per incontrarvi un amico, ché amici non ne ho mai avuti. E neanche ho avuto maestri in cattedra.
Ho imparato rubando, saccheggiando. Le nozioni di tecnica le ho apprese da ragazzo rimanendo intere mattinate a lato di un copiatore di quadri in gallerie, per sorvegliare i misteriosi movimenti del pennello dalla tavolozza alla tela.”.

Copertina del “Bollettino della Galleria del Milione”, n. 11 Milano, Galleria del Milione, 21 marzo – 3 aprile, 1933-XI), Milano 1933
Massimo Campigli, anche lui Italien à Paris, di René Paresce scrive:

René Paresce, 1930 circa
M. Campigli, Renato Paresce, in “Poligono”, Milano, serie II. a. IV. n 1, novembre 1929, pp. g-10
C’è l’artista che somiglia alla sua opera (o viceversa se si vuole) e quello che pudibondo se ne fa una maschera. Psicoanalisi. Pirandellismo. Ci penso volendo scrivere di Paresce e dell’arte sua.
Una pittura compassata, sapiente, architettura orologeria calcolo infinitesimale, gioielleria, lacca di Smirne, giallo di stronziana, verde malachite, antimoniato di piombo, silicato d’alluminio vernice di Sandarak, mucillagini di copaive, due rape sulla diagonale, una bottiglia di Bénédictine D.O.M. marque déposée sella sezion d’oro.
E lui: una testa di arcangelo di scuola preraffaellita, occhi spiritati, voce di Scialapin. Fa tagliare a Londra i vestiti che fanno di lui il più importante dei Montparnos. Lord Brummel con un ideale di più.
Ma ecco infila occhiali da alchimista e con mano sensuale accarezza un pannello in cedro del Libano, impeccabilmente preparato con gesso d’oro centenario. “Tredici velature su fondo di tempera mi hanno dato questo rosso prezioso”. Il dottor Jeckill è ridiventato mister Hyde.
A proposito: per anni negò ai colleghi giornalisti di essere lui il pittore Paresce di cui trovavano il nome nei giornali.
[…]
In fondo Paresce è il più classico di tutti noi: sobrio artefice di opere dense di amore, armoniche, disciplinate, pensate con toscana lucidezza, e che quotidianamente ricava dal suo lavoro una gioia franca che ce lo mena tutto radioso al caffè del Dôme. Sicché Paresce va classificato dopotutto tra i pittori che somigliano all’arte loro.
Paresce partirà per le Isole Figi, unico passeggero di un cargo mercantile e da lì per l’America. Di questo viaggio scriverà una serie di reportage pubblicati su “La Stampa”, un diario e poi un libro dal titolo premonitore L’altra America, edizioni di Quadrante.

Copertina del volume di Renato Paresce, L’Altra America, edizioni di Quadrante, Roma 1935
R. Paresce, Viaggio senza meta. Traversata del canale di Panama, in “La Stampa”, Torino, 6 giugno 1934
Un viaggio con una piccola nave di cabotaggio non presenta molte comodità: non permette, ad esempio, una grande rapidità epistolare, tra i viaggiatori e la terra ferma. È per questo che il nostro Renato Paresce, nel suo viaggio senza-meta a bordo del Tahari è stato costretto per qualche settimana a mantenere il silenzio. Egli riprende il racconto delle sue peregrinazioni con questa lettera.
R. Paresce, L’altra America, edizioni di Quadrante, Roma 1935
“Secoli di storia agitata, di lotte sui campi di battaglia del pensiero e del lavoro, di orde invadenti e di orde respinte al di là di frontiere, hanno conferito alle nazioni europee un viso loro proprio, al punto che si può oggi parlar d’Italia, Francia, Inghilterra o Germania colla certezza di esser compresi. Il viso di ognuna di queste nazioni ha le sue rughe caratteristiche, sempre le stesse, sia esso sorridente o imbronciato.
Parlar d’un viso americano è, per contro, impossibile. L’America sembra vivere nella rassegnata impossibilità di definirsi, e preferire a tutti i concepibili stati della materia quello fluido che le permette di opporre alla solidità delle idee europee non una idea, ma un divenire”.